Heini Gütl e la Superdirettissima sulla Cima Grande di Lavaredo: un racconto emozionante
Nel 1976 la forte Guida di Sesto salì, da solo, la via aperta dai “Sassoni” 13 anni prima. Il suo rapporto simbiotico con una montagna che ha scalato 618 volte L'articolo Heini Gütl e la Superdirettissima sulla Cima Grande di Lavaredo: un racconto emozionante proviene da Montagna.TV.



In pieno inverno quando la natura mostra il suo volto più duro e le montagne sembrano inaccessibili, nel 1963 tre alpinisti tedeschi si preparavano a compiere un’impresa che avrebbe segnato la storia dell’alpinismo in Dolomiti di Sesto. Proveniente dalla Sassonia, questa cordata aveva un obiettivo ambizioso: conquistare in inverno la parete Nord della Cima Grande di Lavaredo salendo nel modo più “diretto” possibile.
Questa “Via” è stata chiamata “Superdirettissima”, un nome che evoca la verticalità e la linea pura del percorso. Peter Siegert, Gerd Uhner e Reiner Kauschke, avevano in mente un nome diverso e poetico che rispecchiava la purezza della linea: la “Via della Goccia” perché solca la “Nordwand” quasi in linea retta tanto da sembrare impossibile in invernale.
Nei diciassette giorni trascorsi in parete con temperature che scesero di molto sotto lo zero, furono utilizzati centinaia di chiodi e a lungo si è discusso sull’utilizzo dei tanti aiuti artificiali impiegati dalla cordata. I forti venti e la neve che cadeva continua aumentavano le difficoltà della salita rendendo la loro ascensione non solo una prova di forza fisica e tenacia, ma una vera sfida tra l’uomo e la montagna. Nonostante tutto i tre raggiunsero la vetta seguendo la loro “idea-sogno” . Sfidando l’impossibile avevano lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’alpinismo dolomitico.
Il racconto di Heini Gütl primo a salire in solitaria la Superdirettissima
Abbiamo incontrato Heini Gütl presso la Scuola di Alpinismo di Sesto insieme a Daniel Rogger per parlare però di un’altra impresa: la prima salita in “solitaria” della Superdirettissima, da lui realizzata nel 1976.
Heini è un veterano delle Guide Alpine di Sesto e quando inizia a parlare è emozionante. Racconta la sua carriera in modo semplice senza grandi parole e gli occhi iniziano a brillare quando capisce che siamo lì per chiedergli della Superdirettissima.
Racconta Heini, prima che inizi l’intervista, “quando ero ragazzo e in grande forma volevo scalare tutte le vie delle Tre Cime, pensavo solo a quello. Si usavano scarponi pesanti allora, tutti salivano le pareti così e anche per la Superdirettissima ho utilizzato quelli. Con me avevo due moschettoni, due scalette, quattro chiodi normali e due a espansione. I primi salitori avevano utilizzato molto materiale. Ne era rimasto ancora in parete ma non teneva molto, così in alcuni casi mi sono aiutato con due cordini che avevo in tasca. Alcuni vecchi chiodi erano messi utilizzando anche un po’ di cunei di legno per far tener meglio il ferro ma dopo tanti anni ci si può fidare? Molto spesso, toccandolo, il legno si sgretolava in mano… non era una bella sensazione e le difficoltà quindi aumentavano sempre. Quasi a metà via mi mancavano due chiodi per passare in sicurezza, c’era una piccola fessura e avevo un piccolo chiodino che ho provato a mettere ma è saltato subito. Per fortuna avevo i due chiodi a espansione che però non potevo usare sempre, la roccia non è buona e si deve fare molta attenzione.”
Una domanda per chi non conosce bene la tecnica di salita in artificiale, il materiale si recupera o si lascia in parete?
“Quando si sale in cordata l’ultimo recupera tutto il materiale che può, soprattutto nei miei anni migliori non c’erano molti soldi per comprare quindi cercavamo di portar via tutto. Anche molti dei chiodi dei ragazzi sassoni non c’erano più, alcuni erano fatti in casa e qualcuno davvero “brutto”. Il ferro se entra bene si piega ma non si spezza ma su quella roccia spesso si riusciva a far entrare il chiodo per non più di due centimetri, ci voleva coraggio e molta esperienza perché mettere un chiodo non fino all’anello è pericoloso”.
La Superdirettissima è stata la tua prima via in solitaria?
“Si era il 18 giugno 1976 ed è stata la prima volta che l’ho salita poi ci sono tornato altre volte ma sempre in cordata. In solitaria poi è salito Hans Kammerlander ed è stato molto più veloce di me, forse però se avesse saputo come erano messi alcuni chiodi sarebbe andato più piano.”
Sei partito da Sesto per raggiungere l’attacco della via?
“No, in quegli anni avevo una Fiat 127 e raggiunsi il parcheggio, la strada era già asfaltata poi arrivai al Rifugio Lavaredo.”
Quale è stato o sono stati i momenti più difficili della tua salita?
“A metà parete avrei avuto bisogno di più materiale ma come ho detto con l’aiuto dei chiodi che erano in parete e dei cordini sono riuscito a passare. Il momento più difficile e pericoloso è stato poco prima della grande cengia, mancavano forse due tiri ed è arrivata la pioggia che ha reso la roccia viscida come sapone. È già molto liscia su quei tiri, non si possono mettere chiodi e con gli scarponi pesanti è stato davvero tanto difficile passare. Poco prima di arrivare sulla cengia un fulmine deve aver colpito la cima credo e sono cadute molte pietre. Ma la via non finisce, gli ultimi due tiri prima della vetta sono molto difficili e da fare quasi completamente in libera”.
Cosa hai provato quando sei arrivato in cima?
“Avevo fame. Allora ho preso un panino e ho iniziato a mangiare ma solo in quel momento mi sono accorto di avere la bocca e la gola secche… non riuscivo a mandar giù quello che masticavo e ho cercato l’acqua ma non l’avevo portata. Mi sono arrabbiato con me stesso e ho buttato il panino dalla parete, avevo dimenticato la cosa più importante ma capita di farlo. Dopo qualche minuto, sono arrivati in vetta due persone dalla Via Normale e mi hanno guardato in silenzio poi mi hanno chiesto se fossi solo e da dove ero salito. Quando ho raccontato della Superdirettissima mi hanno chiesto un po’ preoccupati se il mio compagno fosse caduto ma dissi che ero salito da solo. Erano tanto stupiti per quello che avevo fatto, poi mi hanno chiesto perché non avevo nemmeno una corda… da solo cosa ci facevo con una corda in parete gli ho risposto, ma sono domande normali che si fanno in montagna”.
Ti hanno dato da bere almeno?
“No, mi hanno detto di non avere acqua ma è impossibile, l’avevano me ne sono accorto ma non me l’hanno data e allora sono andato via e son sceso dalla Normale anche un po’ arrabbiato. Avevo molta sete poi sono arrivato al Rifugio e tutto è passato”.
Quante volte hai scalato Cima Grande e cosa provi quando arrivi in vetta?
“Sono salito davvero tante volte, ormai conosco e riconosco tutte le pietre soprattutto della Via Normale. Ho raggiunto la vetta 618 volte, alcune da solo ma quasi sempre con clienti e sai una cosa? L’emozione di arrivare alla croce è sempre la stessa, è bellissimo sia con clienti molto bravi che con persone che hanno meno esperienza salendo dalla Via Normale e per questo si affidano a una Guida alpina. È bellissimo vedere tutto dall’alto, non ci sono vette che coprono il panorama ed è così… sempre una bellissima e grande emozione”.
Torniamo alla Superdirettissima, cosa hai provato in parete e a cosa pensavi?
“Di fatto in parete non pensi a nulla se non a scalare, sei sempre molto concentrato solo con la roccia… dove mettere le mani e cosa fare per salire, pensi al materiale e cerchi la soluzione migliore per andare avanti. Non ti senti mai solo perché sei con la montagna, la solitudine la provi quando arrivi in vetta e ti rendi conto di cosa hai fatto. E’ una bella sensazione”.
Cosa pensi dell’alpinismo di oggi?
“Beh lo spirito almeno per me non è cambiato molto, sono mutati i materiali e ci si allena in modo diverso. Noi non avevamo palestre ma solo le pareti e l’allenamento era scalare, io ero boscaiolo e avevo una grande forza nelle braccia perché si faceva tutto a mano anche togliere la corteccia dai tronchi. Era una buona palestra no”.
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